Non risultano miti riguardanti il lazzaretto di Ancona, risultano alcuni miti, perlopiù greci, che toccano la città nella sua interezza, in particolare il mito di Diomede, il quale, dopo aver offeso Afrodite, per cercare di ottenere il suo perdono, decide di trasformare il viaggio per mare che stava affrontando in un'occasione per offrire le sue conoscenze in materia di navigazione e per l'addestramento dei cavalli. Proprio durante questo periodo approda ad Ancona, conosciuta già allora per il suo grande porto, e li soggiorna per un breve periodo.

Prettamente riguardanti il lazzaretto in ogni caso, possiamo ricordare "Storia della mia vita" di Giacomo Canova, il quale soggiorna ad Ancona e nello specifico nel lazzaretto, e scrive: "Al porto, dove andai con Bellino, comprai un bariletto di ostriche dell'arsenale di Venezia per fare onore a don Sancio e lo feci mandare all'albergo. Poi condussi Bellino alla rada e con una feluca mi feci portare a bordo di una nave di linea veneziana che aveva appena finito la quarantena, ma non ci trovai nessuno di mia conoscenza. Salii quindi a bordo di un vascello turco che stava per far vela alla volta di Alessandria e la prima persona che vidi fu la bella greca che avevo lasciato sette mesi prima nel lazzaretto di Ancona.Stava accanto al vecchio capitano e io fingendo di non conoscerla, chiesi al capitano se avesse delle belle mercanzie da vendere. Il capitano ci condusse nella sua cabina e aprì i suoi bauli, mentre io leggevo negli occhi della greca la gioia di rivedermi.
Tutto ciò che il turco mi mostrò non mi andava, ma gli dissi che avrei comperato volentieri qualcosa che fosse piaciuto alla sua bella moglie. Il capitano rise, la donna gli disse qualcosa in turco e lui se ne andò. Allora la greca corse ad abbracciarmi e stringendosi al seno esclamò:
« Ecco il momento tanto atteso! »
In un impeto di coraggio non inferiore al suo, sedetti, me la tirai addosso e in meno di un minuto le feci quello che il suo padrone non le aveva fatto in cinque anni. Colto il frutto, stavo assapora dolo e avevo bisogno almeno di un altro minuto inghiottirlo, quando la sventurata greca, sentendo ritornare il padrone, scivolò fuori dalle mie braccia mettendosi davanti a me mi diede il tempo di rimettermi a posto senza che il turco potesse vedere disordine in cui ero e che avrebbe potuto costarmi la vita o, per aggiustare le cose amichevolmente, tutto il mio denaro. La situazione era piuttosto drammatica, ma la faccia stupita di Bellino, che se ne stava immobile e tremante di paura in un angolo, mi fece scoppiare a ridere.
Le cianfrusaglie che la bella schiava scelse mi costarono solo venti o trenta zecchini. «Spolaitis» disse nella lingua del suo paese, quando il padrone le disse di baciarmi, e scappò via coprendosi il volto. Me ne andai più triste che allegro, compiangendo quella incantevole creatura che il cielo, nonostante fosse così coraggiosa, si era ostinato a non accontentare che a mezzo. "

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